La riuscita politica, ed anche in termini di partecipazione diretta, delle giornate di discussione a Taranto – culminate con la bella manifestazione di venerdì 29 novembre, nell’ambito dello “Sciopero Generale per il Cima” – meritano una ulteriore riflessione oltre il pur soddisfacente dato di cronaca.
L’Assemblea Operaia con delegazioni da ogni parte d’Italia di giovedì 28/11 e il Corteo del giorno dopo a cura dell’Unione Sindacale di Base ed il Convegno tra ambientalisti, studiosi, comitati civici e lavoratori, organizzato da Potere al Popolo mercoledì 27/11, sono stati momenti di confronto, elaborazione e partecipazione significativi e carichi di lezioni politiche per il prossimo periodo.
Capitale contro Lavoro – Capitale contro Natura
E’ innegabile che la vicenda dell’ILVA di Taranto ha scoperchiato – con toni anche drammatici – l’autentico verminaio rappresentato dalle forme e dalla sostanza della politica borghese la quale, alla bisogna, mette sotto i piedi accordi sindacali, promesse di risanamento e, persino, patti tra governi nazionali ed imprese multinazionali ricordando – ancora una volta – che la legge del profitto capitalistico, specie in una congiuntura politica di crisi economica e di accentuata competizione internazionale, è sempre orientata alla sua spietata vigenza ed alla crescente svalorizzazione/mortificazione del lavoro.
La lunga storia dell’ILVA e dell’intero ciclo della siderurgia nel nostro paese confermano questa tendenza: il capitalismo disvela, costantemente, il suo irrinunciabile carattere criminale e criminogeno teso alla “produzione di morte” attraverso la manomissione e l’aggressione all’eco/sistema, agli uomini ed all’insieme delle forme di vita.
Richiamare questi due aspetti significativi dentro cui si colloca la “questione/vertenza ILVA” non è un esercizio formale o retorico ma serve a comprendere i caratteri maturi delle varie contraddizioni che stanno lievitando sempre più velocemente in queste settimane.
Una materia sociale con cui i comunisti, le organizzazioni sociali e sindacali devono e dovranno, sempre più, fare i conti per interpretare e svolgere al meglio la propria funzione immediata e di prospettiva. Un adeguamento teorico, politico ed organizzativo che richiederà innovazione teorica, conseguenti scelte politiche ed un generale cambio di passo al nostro stile di lavoro.
Da qui la vera importanza delle discussioni avviate a Taranto dove – finalmente – si è prodotto un proficuo confronto tra associazioni ambientaliste indipendenti, comitati dei cittadini ed organizzazioni politiche e sindacali come Potere al Popolo e l’Unione Sindacale di Base le quali, pur partendo da premesse ed attitudine diverse derivanti dalle loro differenti ragioni sociali, hanno saputo interagire con le contraddizioni, le difficoltà e i compiti inediti che si squadernano dinnanzi a loro. Una discussione che non ha nulla della sterile accademia o delle declamazioni autistiche che, spesso, abbiamo ascoltato nel pubblico dibattito attorno a queste questioni.
A Taranto si è materializzato un crogiolo analitico dove le varie esperienze e portati sociali agenti nella società unite alle pratiche conflittuali stanno determinando sintesi politiche e programmatiche più avanzate atte ad affrontare, con più cognizione, questo stadio della lotta non solo a Taranto ma anche in altri spaccati territoriali e/o aziendali.
Da questo punto di vista le coraggiose e controcorrenti scelte che i delegati USB dell’ILVA di Taranto, sostenuti dall’intera Organizzazione, hanno compiuto con il ritiro della firma all’inevaso accordo con Ancelor Mittal e la richiesta della chiusura degli impianti (a determinate e chiare condizioni!) costituiscono un “passaggio storico” nella tradizionale cultura e nella storia del movimento sindacale del nostro paese.
A Taranto un settore non marginale di classe operaia sta discutendo – alla pari con ambientalisti ed attivisti territoriali – di temi che, fino ad ora, erano sviscerati in ovattati convegni o, peggio, al chiuso delle stanze istituzionali senza riuscire ad agglutinare i soggetti materiali che poi sono i soggetti in carne ed ossa che devono lottare ed impegnarsi per affermare tali contenuti.
La manifestazione di venerdì 29 novembre, pur collocandosi all’inizio di un percorso che non sarà scevro di contraddizioni di ogni tipo, si è configurata come una “prova pratica” di un nuovo movimento operaio e popolare capace di delinearsi sulla base di contenuti nuovi ed apertamente dissonanti con il complesso dei temi che la consumata retorica istituzionale e dei sindacati collaborazionisti agitano continuamente nei posti di lavoro e nella società.
Il corteo dell’altro giorno – con buona pace dei tromboni della comunicazione deviante che hanno scientemente evitato anche solo di riportare semplicemente lo svolgimento della manifestazione e la buona adesione allo Sciopero dei lavoratori ILVA – ha mostrato questo spicchio di schieramento sociale e popolare che pone, oggettivamente, tematiche che afferiscono, immediatamente, alla quantità/qualità delle produzioni, alla critica del modello di sviluppo dominante, alla garanzia del diritto al reddito ed alla vita ed al rapporto complesso tra le forze produttive, il loro controllo e l’organizzazione di nuovi rapporti sociali.
Insomma non crediamo di essere visionari se affermiamo che in questo dibattito – a tratti anche inconsapevolmente dalla maggioranza degli stessi protagonisti – ha fatto capolino lo spettro della ineluttabilità della rottura rivoluzionaria e della necessità di un ordine sociale diverso: il Socialismo!
Connettere le mobilitazioni, superare la frammentazione.
Ma le discussioni tarantine non hanno affrontato solo i problemi attinenti la fondamentale cornice analitica e il contesto generale in cui si colloca la vertenza/vicenda ILVA ma si sono cimentate anche con la comune esigenza di elaborare un percorso di mobilitazione che possa connettere le centinaia di vertenze operaie, piccole e grandi diffuse al Nord come al Sud del paese, che languono stancamente al MISE o sui tavoli delle Prefetture.
Vertenze isolate prive di collegamenti tra loro ed abbandonate al loro destino dalla politica di complicità con il padronato di Cgil, Cisl e Uil le quali dovranno accontentarsi, nel migliore dei casi, della miseria offerta da ciò che residua del sistema degli ammortizzatori sociali a sua volta colpito da continui ridimensionamenti quantitativi e temporali.
A tale proposito nel dibattito e nel confronto avviato sono state messe a fuoco possibili campagne politiche (come quella che richiama la necessità di affermare una nuova qualità dell’Intervento Pubblico nella pianificazione economica e nella gestione delle crisi industriali ed occupazionali) che richiederanno una articolata battaglia a tutto campo che dovrà scontrarsi con la gabbia dei Trattati dell’Unione Europea (a proposito del divieto inerente i cosiddetti aiuti di stato alle aziende in crisi e della libertà del movimento di capitali ad opera delle scorribande delle multinazionali), con il dogma imperante della centralità del meccanismi del mercato e con il totem delle virtù salvifiche dei processi di privatizzazione.
Insomma – e lo diciamo senza enfasi cercando di evitare sopravvalutazioni politiche cariche di ottimismo politico fuori luogo – riteniamo che il ritorno da Taranto, se opportunamente valorizzato, ulteriormente arricchito e collettivamente organizzato, possa essere un buon viatico per il conflitto politico, sociale e sindacale.
1 dicembre, 2019